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Essere o non essere un atleta di livello!!!

Andrea Canella

“La mia vita è stata tennis, tennis e poi tennis. A un certo punto non sono stato più in grado di sopportare la cosa. Non so se ero stanco di giocare o se mi avesse stancato tutto quello che ruotava attorno al tennis, quel che è certo è che volevo una vita mia”. Così Bjorn Borg dichiarava, spiegando il suo precoce ritiro. Ci si chiede in generale quali siano i fattori che innescano il senso di appagamento dalla pratica di un’attività sportiva di alto livello oppure se sia, l’invecchiare del corpo in congiunzione con le percezioni individuali, a dettare tempi di ritiro dall’attività agonistica.

Ashleight Barty – Foto: Getty Images

Il recente ritiro di Ashleigh Barty, al culmine della sua carriera sportiva ha ancora una volta posto l’attenzione su quale sia il momento giusto per uno sportivo d’alto livello di ritirarsi, quando a quest’ultimo è concessa la scelta, generando incredulità e forse un po’ di frustrazione tra appassionati, aziende sponsorizzatrici e media che vorrebbero che gli atleti di livello assoluto, allungassero le loro carriere almeno fin oltre la soglia dei trent’anni.

Eppure casi simili a quello dell’Australiana si erano già registrati in passato. Lo scrivente ricorda quando a soli 23 anni nel 1992 si ritirò dalle competizioni internazionali Petra Kronberger, dopo aver vinto tre coppe del mondo di sci alpino consecutivamente (1990-91-92), Olimpiadi e mondiali oppure il ritiro anch’esso inaspettato a soli 25 anni nel 2012, della fenomenale Magdalena Neuner, anch’essa regina incontrastata del biathlon femminile nelle 7 stagioni che ha disputato.

Tanto Kronberger quanto Neuner hanno fatto e stanno facendo altro nella vita, dopo aver concluso la tappa sportiva, che le ha viste essere atlete di vertice assoluto nelle loro carriere agonistiche. Se Neuner si sta dedicando attivamente alla famiglia, essendo madre di due figli, con qualche sporadica apparizione televisiva, Kronberger si è laureata presso l’università di Salisburgo in Storia dell’arte e ha vissuto tra Berlino e Amburgo, per poi tornare a Salisburgo dopo il divorzio dal marito, lavorando come guida turistica del museo o della fortezza della “città del sale”. Dal 2015 ha un ruolo attivo nella federazione di sci Austriaca, essendo la persona di contatto delle sciatrici del “Wunderteam”, persona alla quale possono confidare preoccupazioni e problemi.

Petra Kronberger foto privata di Hans-Bezard e Magdalena Neuner foto da © Nordic Focus

Ma altre volte carriere all’apice del successo sono state interrotte, per scandali legati al doping. È il caso della Tedesca Katrin Krabbe, vincitrice di 100 e 200 metri ai mondiali di Tokio del 1991, ma che squalificata inizialmente per un anno (poi aumentati di altri due dalla IAAF), per aver fatto uso di sostanze proibite nel 1992, a soli 22 anni, non riuscì più a rientrare nella scena internazionale dell’atletica leggera degli anni novanta. Con l’aiuto della Nike, riuscì ad aprire un negozio di articoli sportivi, scomparendo dalla ribalta delle scene internazionali. Dopo nove anni di battaglie legali con la IAAF, nel 2001 ottenne una sentenza a suo favore che condannava la federazione internazionale di atletica leggera a risarcire Krabbe con 1,2 milioni di marchi, cifra che poi fu concordata con un accordo extra-giudiziale, tra le parti nel 2002. Ma nel 2015 il suo nome ritorna alla ribalta per una tragedia: il marito, ex canottiere di grandissimo livello poi avvocato che la segui nella sua personale vicenda giudiziaria, si suicidò, lasciandola con i due figli. Le ultime sue notizie la danno come impegnata nel sociale ad assistere le persone malate terminali, attività che affianca a quella di impiegata in una concessionaria di automobili.

Katrin Krabbe ai mondiali di atletica leggera del 1991 foto di Horst Mueller

E tornando al tennis in gonnella come non possiamo non ricordare i casi di Martina Hingis e di Tracy Austin, capaci di raggiungere a inizio carriera i loro maggiori successi sportivi, per poi soprattutto a causa di infortuni muscolari seri, trascinare le loro carriere tennistiche, giocando soprattutto i tornei di doppio, con qualche buon risultato per l’Americana, mentre eccellenti per la Svizzera.

Una semplice equazione.

Al netto delle pressioni esercitate da aziende sponsorizzatrici e da appartenenti al clan di un atleta, che possono influenzare la decisione finale di uno sportivo, si potrebbe affermare che per un’atleta di alto livello, la motivazione a continuare dovrebbe essere data dal saldo tra i risultati sportivi ottenuti e delle ricompense emotive associate al netto dei sacrifici sopportati e della chiarezza sui piani futuri post carriera.

(Risulti sportivi netti + Ricompense emotive)              – 

(Sacrifici sopportati + Chiarezza sui piani futuri post carriera) =

Motivazione alla continuazione dell’attività agonistica

Quando questo saldo nella mente di uno sportivo di successo appare negativo, è chiaro che la decisione del ritiro può manifestarsi in tempi rapidi.

Una roadmap approssimativa della vita di uno sportivo di alto livello che serva quasi da modello generale, scandendo tappe piacevoli ma anche poco felici della vita è tracciata in basso.

Semplice roadmap della vita di uno sportivo di alto livello.
Fonte: Journal of Aging and Physical Activity 29, 5; 10.1123/japa.2020-0270 reinterpretata da AC.

Modelli di ruolo ispiratori per sport e invecchiamento.

L’importanza dei modelli di ruolo è stata dimostrata da ricerche condotte tra i giovani adulti (ad es. Hurd & Zimmerman, 2010), tra gli adulti di mezza età e infine tra gli anziani attraverso studi incentrati su modelli di ruolo per un invecchiamento positivo e proattivo (Jopp et al., 2017). Avere modelli positivi per un invecchiamento di successo ha portato alcuni a mettere in discussione o criticare stereotipi negativi sull’invecchiamento (Levy & Banaji, 2002). Altre evidenze suggeriscono che gli individui sono motivati ​​da modelli di ruolo a differenti gradi in base a obiettivi individuali e alla misura in cui il modello di ruolo incoraggia strategie che si adattano alla visione del mondo dell’individuo (Lockwood, Giordania e Kunda, 2002). Studi sui modelli di ruolo nello sport hanno identificato la loro importanza non solo ai fini dello sviluppo di una carriera sportiva (Fleming, Hardman, Jones e Sheridan, 2005) ma pure per il successivo sviluppo della vita dopo il ritiro dai circuiti agonistici professionistici e la costruzione dell’identità (ad es. Ronkainen, Ryba,&Selänne, 2019). A radice di questi studi, potremmo dire che un’ individuo di mezz’età o un giovane adulto, guarda con ammirazione alle persone del proprio intorno famigliare come i propri genitori, ma pure ad amici e conoscenti, per poi concludere con personaggi pubblici. Per esempio Bjorn Borg oggi, potrebbe costituire un buon esempio. Ma se vogliamo uscire dal confini del mondo sportivo potremmo pensare per esempio al cantante Sting. Ecco tanto Sting come Borg sono due personaggi pubblici, che hanno saputo affrontare le nuove sfide imposte dalla terza età.

Sting in una foto recente. Foto: MNishada – xsnoize.com

Trasformazione del corpo e ritiro sportivo.

Il corpo è posto al centro della nostra vita sociale ed è fondamentale per la comprensione del senso di noi stessi (Synnott, 2002). In tutte le fasi della vita, il corpo costituisce una risorsa occupazionale che interagisce con strutture sociali con la finalità di influenzare gli adattamenti propri delle transizioni della vita. Via via che passa il tempo, la forma fisica declina a causa di lesioni o altri motivi, e quindi la posizione economica e sociale conferita all’importanza del corpo tende a deteriorarsi (Woodspring, 2016). Alterazioni della fisiologia corporale (tattuaggi o interventi di chirurgia ricostruttiva), così come le naturali trasformazioni che avvengono con l’avanzare dell’età, contribuiscono a far cambiare le percezioni dell’invecchiamento, soprattutto se relazionate al congedo indeterminato dallo svolgimento di certe attività. Il corpo non è un’entità statica ma invece può essere inteso come fluido nel tempo e interpretato soggettivamente. Le esperienze corporali, come il declino fisico, sono considerate in modi che interagiscono con le aspettative sociali sulle transizioni della vita (Gilleard & Higgs, 2011; Grifone, 2017; Scellino, 2001). Come tali esperienze corporali che comportano adattamenti individuali a diversi fenomeni fisici, emotivi e sociali (esempio congedo lavorativo), diventano esperienze incarnate nelle persone, possono essere esaminate per migliorare la comprensione della realtà personale e sociale (Lee & Cho, 2018; Rai, Jongenelis, Jackson, Newton e Minus, 2019b). Una fervente letteratura ha introdotto maggiori approfondimenti delle esperienze di ritiro di atleti ad alte prestazioni (Grove et al.,1997; Kerr e Dacyshyn, 2000). Questo approccio consente di acquisire informazioni sulle esperienze di atleti di età e sport diversi, migliorando così la comprensione su come le loro percezioni dell’invecchiamento influenzano il loro adattamento al ritiro dalle competizioni sportive. Detto focus ha anche stimolato importanti domande sul fatto, se l’impegno massimo nello sport ad alte prestazioni, sia prerogativa della gioventù a scapito della maturità fisica, perpetuando stereotipi negativi sull’ invecchiamento (Dionigi & O’Flynn, 2007; Oghene, McGannon, Schinke, Watson, & Quartiroli, 2015; Phoenix e Smith, 2011).

Percezioni individuali dell’invecchiamento.

L’evidenza suggerisce che le percezioni di un individuo sull’invecchiamento possono influenzare la sua salute nel corso della sua esistenza, così come il modo in cui si adatta alle transizioni della vita (Levy, 2009; Levy & Myers, 2004; Pelssers et al., 2018). Numerosi studi illustrano l’importanza delle percezioni di sé sull’invecchiamento nel contesto di un invecchiamento di successo (es. Kotter-Grühn&Hess, 2012; Romo et al., 2013; Wurm, Warner, Ziegelmann, Wolff e Schüz, 2013), suggerendo l’associazione di idee positive sull’invecchiamento, con stati di salute più favorevoli dati dall’essere fisicamente attivi e godere di maggiore longevità (ad es. Levy, Slade, Kunkel e Kasl, 2002; Wurm, Tomasik e Tesch-Römer, 2010). Tuttavia, altre ricerche rilevano, in contrasto, che gli stereotipi positivi legati all’età, non portano a influenzare positivamente la percezione di sé dell’invecchiamento e contribuiscono a far sentire i partecipanti più vecchi (Kotter-Grühn & Hess, 2012), sollevando domande sul se e come le percezioni dell’invecchiamento interagiscono con le transizioni della vita in diversi contesti. Queste osservazioni empiriche contrastanti evidenziano la necessità di ulteriori approfondimenti per ricercare e porsi la domanda su cosa significhi essere “prosperi” invecchiando. La teoria dell’incarnazione dello stereotipo, postula che gli individui interiorizzino opinioni negative socialmente costruite nelle loro percezioni sul proprio invecchiamento, creando così eventi che si autoavverano, che potrebbero comportare un deterioramento della loro salute (Levy, 2009; Levy & Myers, 2004; Wurm et al., 2013). Mentre le percezioni negative sull’invecchiamento possono avere un’influenza meno favorevole sul corso successivo della vita (Levy & Banaji, 2002), individui con percezioni positive sull’invecchiamento registrano livelli più bassi di depressione e una maggiore soddisfazione (Bryant et al., 2012; Kornadt & Rothermund, 2011), funzioni cognitive potenziate (Mazerolle, Regner, Rigalleau e Huguet, 2015) e sono più propensi a impegnarsi in comportamenti sanitari preventivi e per raggiungere una maggiore longevità (Levy et al., 2002; Levy & Myers, 2004). In conclusione le percezioni sull’invecchiamento sono dinamiche e dipendenti dal contesto (Kornadt et al., 2020; Levy & Leifheit-Limson, 2009), generando applicazioni differenziali degli stereotipi legati all’età, distinte in funzione del fatto che la categorizzazione di vecchio sia attribuibile o meno (Kornadt & Rothermund, 2011).

Un recente paper pubblicato nel 2021 nel “Journal of Aging and Physical Activity“, ha investigato di come come le percezioni degli atleti ad alte prestazioni sull’ invecchiamento abbiano influenzato il loro adattamento alla vita post sportiva, influezando anche altre transizioni della vita. Ciò ha rilevanza per gli atleti ad alte prestazioni, che tendono a ritirarsi presto nella loro vita a causa di un infortunio o perché sono considerati troppo vecchi per competere (Huxley, O’Connor e Healey, 2013; Lavallee, Gordon e Grove, 1997 ). In entrambi i casi, ma in particolare per coloro che hanno subito infortuni, gli ex-atleti sono costretti ad adeguarsi dall’esperienza di aver posseduto corpi privilegiati, capaci di dimostrare i limiti del potenziale atletico, a quella di vivere una vita in cui devono riprodurre il proprio senso di scopo sociale . Non sorprende che la letteratura precedente dimostri che il ritiro può essere una transizione difficile per gli atleti spingendo a una ricalibrazione delle loro identità lontano dall’attenzione atletica (Cosh, Crabb e LeCouteur, 2012; Grove, Lavallee e Gordon, 1997; Stirling, Cruz e Kerr , 2012).

Sono state condotte delle interviste a 24 atleti ritirati di diverse età, che hanno partecipato ai giochi Olimpici. Questo ciclo di interviste ha prodotto tre grosse aree tematiche condizionate dalla percezione dell’invecchiamento che sono le seguenti:

  • Cambio delle abitudini all’esercizio fisico dopo il ritiro . In questo sottoinsieme, alcuni atleti hanno espresso idee positive in merito all’ invecchiamento che ha motivato il loro impegno alla pratica dell’esercizio anche da atleti ritirati, mentre altri al contrario hanno descritto come paure e percezioni negative li abbiano motivati a mantenersi attivi.
  • Maggior coinvolgimento in attività civiche e sociali, a beneficio della comunità. Per alcuni atleti del campione la motivazione a intraprendere queste attività è stata fornita da idee positive in merito all’invecchiamento, che sono maturare all’inizio della loro vita. Altre volte però i partecipanti hanno associato questi nuovi interessi verso un maggior coinvolgimento della comunità, con opinioni meno positive sul tema della vecchiaia.
  • Mancanza di senso di scopo della vita post sportiva. I partecipanti che ancora non possedevano chiare opinioni sull’invecchiamento hanno associato il loro ritiro sportivo alla mancanza di un senso di scopo nella loro vita post-sportiva, identificando la necessità di ricalibrare le loro identità personali.

Questi risultati forniscono prove che le percezioni sull’invecchiamento influenzano l’adattamento degli atleti alla vita condotta posteriormente al ritiro dall’attività agonistica, dirigendo il loro successivo impegno verso altre attività, che non sempre hanno a che vedere con lo sport. In conclusione, quando si spengono le luci della ribalta e il mito dell’eroe sportivo, tanto celebrato dai media, si sgonfia, anche gli atleti di successo vengono reincorporati nei meandri della vita dei comuni mortali, con paure e insicurezze, tipiche e comuni per le persone normali.

Seeding

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Unforgiven79
Admin
2 years ago

Approfondito ed un filo quasi inquietante questo articolo, Andrea! Dà una lettura dell’approccio alla vecchiaia… solo, siamo sicuri che Borg sia un modello di “sport ed invecchiamento”? Si ritira a 26 anni che è ancora imperante, si ripresenta a 36 con la stessa racchettina di legno e lo rullano, ci riprova fino ai 38 con una racchetta moderna e lo rullano ancor di più… Biancheria intima a parte, avrebbe potuto gestirsi meglio.

Andrea
Andrea
Reply to  Unforgiven79
2 years ago

L’ho visto molto sereno Borg nelle sue apparizioni come capitano di Laver Cup del team Europa. L’ho visto proprio in pace con se stesso. Non posso dire la stessa cosa di Becker.

Unforgiven79
Admin
Reply to  Andrea
2 years ago

Sì, adesso che ha 60 anni è probabile. Intendevo però che il suo modo di lasciare il professionismo è stato molto tormentato, mollando molto presto, poi facendo un tentativo di rientrare, ma quasi provando ad ignorare il tempo che nel frattempo era passato… paradossalmente, fu Becker che già nel ’96, vincendo il suo ultimo Australian Open da 28enne, giudicava di avere i giorni delle vittorie contati e, raggiunta la consapevolezza che non avrebbe più potuto aspirare ad un’ultima vittoria a Wimbledon a causa della presenza del più giovane Sampras, serenamente si ritirò.

Andrea
Andrea
Reply to  Unforgiven79
2 years ago

Sono d’accordo che i rientri improbabili di Borg sono stati dei fallimenti, anche perché non ha saputo adeguarsi alle nuove racchette. Credo che anche i risultati inferiori alle attese di McEnroe dalla seconda metà degli anni 80 fino al ritiro, siano da imputare ai materiali che erano cambiati, evolvendosi.Tra l’altro al rientro credo giocasse ancora con una racchetta di legno con un piatto corde ridotto.
Detto ciò penso che oggi sia più sereno Borg, che ha saputo costruirsi un futuro oltre il tennis, con alti e bassi economici e sentimentali, dato che si è risposato.
Oggi lo vedo più sereno rispetto al Tedesco, che si è ritirato nel 1999 e che recentemente è stato condannato per bancarotta. Mi fa tristezza quando ha detto che non riesce più a trovare i suoi trofei, da far vedere ai figli.

Elisabetta
Elisabetta
1 year ago

Andrea, sono colpita dalla cura e dalla documentazione alla base del tuo articolo. Avendo fatto studi di psicologia lo trovo molto interessante. Il tuo è un approccio scientifico che mi ha indotto a rileggere il pezzo due volte, per rifletterci sopra. Come sai ho avuto il bene di conoscere Gianni Clerici e di questo aspetto della vita dei tennisti oltre il tennis e del momento in cui si ritirano, abbiamo parlato più volte. Ossia: lui parlava ed io ascoltavo. Credo che il tuo articolo gli sarebbe piaciuto. Spero per te sia un comportamento.

Elisabetta
Elisabetta
Reply to  Andrea Canella
1 year ago

Andrea, senz’altro tornerò su questo sito. È una gioia leggere di tennis in modo intelligente… E ti ringrazio dell’invito. So di essere stata fortunata a conoscere Clerici anche perché nacque tutto da una lettera che gli mandai alla redazione di Repubblica penso 30 anni fa. Comunque volevo chiarire che il libro di Gianni a cui faccio riferimento non parla di un tennista a fine carriera, ma di un calciatore che improvvisamente si trova “fuori rosa” non convocato dal mister e deve cominciare a pensare a come sarà la sua vita da ex campione. Era molto giovane quando lo scrisse e si occupava di calcio. Della vita dei tennisti senza più il clamore della vittoria ne abbiamo parlato noi due, ma non ha scritto nulla in forma di racconto. Sarebbe stato forse imbarazzante. A me ha detto cose che non ripeterò. In ogni caso il tema è quello e a me ha fatto scoprire un aspetto della vita degli sportivi a cui non avevo mai pensato. Quando si spengono le luci, che succede?A presto Andrea.

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